giovedì, aprile 20, 2006

Il Cavaliere e la monetina

Quando il Cavaliere reagì allo «scippo» facendosi tirare in testa una monetina.

Il precedente. Il suo Milan aveva perso lo scudetto per una vittoria a tavplino del Napoli.

di Massimo Gramellini [La Stampa]

Come tutti gli uomini che si ritengono dotati di un senso superiore d’imparzialità, Berlusconi è disposto a perdere solo quando lo decide lui. I personaggi del suo stampo possono ammettere una sconfitta che abbia almeno le dimensioni di Waterloo. Per quanto, anche lì. Tutto ciò che sta sotto l’augusto parametro rientra nel novero delle vittorie scippate, contro le quali il premier uscente è pronto a ribellarsi, sfoderando tutta la sua tempra di combattente. Lo ha sempre fatto, anche in casi molto più drammatici di questo. Perché lasciare il potere per 24.755 voti e una lista lombarda di disturbo è in fondo poca cosa, rispetto a perdere uno scudetto per colpa della monetina lanciata da un tifoso bergamasco.

Ci riferiamo alle memorabili vicende della primavera 1990, quando il Napoli di Maradona sfilò il primo posto al Milan con una vittoria ottenuta «a tavolino» in casa dell’Atalanta, grazie a quella che Berlusconi considerò una vera e propria sceneggiata: il brasiliano Alemao, centrocampista del Napoli, fu colpito alla nuca da uno spicciolo di metallo e si accasciò al suolo come morto, mentre uno dei suoi gli gridava: «Resta giù!» Eppure il giudice sportivo gli credette e assegnò la vittoria ai napoletani, che così scavalcarono il Milan in classifica.

Berlusconi non si dette per vinto e nel tentativo di cambiare il verdetto del Fato ricorse a qualunque mezzo, compreso l’estremo sacrificio di se stesso. Fu proprio lui a raccontare la drammatica escalation della sua sfida eroica, durante una convention coi pubblicitari: le prove generali dei futuri comizi. Lo sfogo venne raccolto dal giornalista Gigi Moncalvo nel fondamentale e introvabile (qualcuno comprò subito tutte le copie) «Berlusconi in concert» e riproposto anni dopo da Pino Corrias, Curzio Maltese e da chi scrive in un libro sulla «discesa in campo» di Sua Persistenza. Ne riproduciamo qui il testo.

«Impossibile. E’ fisicamente impossibile che un giocatore sia messo fuorigioco da una monetina del peso di 7,8 grammi che lo colpisce alla velocità di 11 metri al secondo, quale quella che è stata testimoniata dalle riprese televisive e dalla ricerca commissionata al Politecnico di Milano, che ha presentato delle perizie precisissime della Divisione Meccanica e della Divisione Energia. Due perizie diverse che testimoniano come assolutamente una moneta, anche se ti colpisce nella maniera più sfortunata, cioè di taglio, non può portarti che un graffio, cioè una escoriazione con un piccolo rigonfiamento momentaneo. «Siccome però io sono una testa dura e sono come san Tommaso, ho preso mio figlio (in realtà si trattava del maggiordomo, ndr), l’ho messo al primo piano e mi sono fatto tirare la monetina in testa. Il danno? Una cosa risibile!.

«L’ho mandato al secondo piano e mi sono fatto un po’ male. L’ho mandato al terzo piano, ma sono già quindici metri, molto più del necessario, perché quella monetina di Bergamo è come se fosse caduta da sei metri, dato che c’era una rete fra il pubblico e il campo, quindi la monetina non è stata tirata - come qualcuno ha detto - con una fionda e diretta a mo’ di proiettile, ma è stata tirata in alto a superare la rete. Poi, per la forza di gravità, ha fatto una discesa parabolica testimoniata dalla tv, ed era in discesa parabolica quando ha colpito Alemao sulla testa.

«Comunque dal terzo piano mi sono fatto un graffio di cui ho portato la crosta per quattro giorni». I soliti giudici rimasero insensibili persino di fronte a tanto coraggio. Il ricorso dell’illustre infermo venne respinto e lo scudetto andò regolarmente al Napoli. Che subito dopo, però, iniziò a sfasciarsi. Prodi prenda pure nota, se crede.

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